Rientro dei cervelli 2024

Come lo scudo fiscale, il rientro dei cervelli è un’altra bufala per mettere in trappola coloro che sono andati a lavorare all’estero

Rientro dei cervelli 2024

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Il 16 ottobre 2023, il governo ha approvato una proposta di riforma fiscale riguardante la fiscalità internazionale e l'incentivazione dei lavoratori impatriati (tornati in patria). Questa riforma propone di modificare le regole esistenti, con effetti dal 1° gennaio 2024.

Dei 24.450 impatriati ad oggi, i ricercatori sono 1.800, gli altri sono top manager che hanno sfruttato un’agevolazione.

Tra il 2011 e il 2020, si è registrato un incremento significativo sia nei rimpatri che negli espatri di laureati italiani. In particolare, i rimpatri sono passati da circa 4.100 a 13.700 all'anno, mentre gli espatri sono aumentati da circa 7.700 a 31.300. Questa tendenza è stata particolarmente marcata tra i laureati sotto i 40 anni: i rimpatri sono cresciuti da circa 2.300 a 8.500, mentre gli espatri sono balzati da circa 5.000 a 25.000. Di conseguenza, in quasi un decennio, il saldo migratorio dei laureati italiani (differenza tra rimpatri ed espatri) ha subito un peggioramento del 388% e addirittura del 489% per i laureati più giovani.

Inoltre, tra il 2002 e il 2016, l'Italia ha registrato la partenza di circa 11.000 ricercatori, il numero più alto in confronto agli altri paesi dell'Unione Europea.

Il Regno Unito si è confermato come la destinazione principale per i giovani laureati italiani. La percentuale di coloro che sceglievano il Regno Unito è cresciuta dal 15% nel 2011 al 26% nel 2020, nonostante le incertezze legate alla Brexit. Anche se i rimpatri dal Regno Unito sono aumentati in termini assoluti, l'incremento è stato inferiore rispetto agli espatri, portando a un peggioramento del saldo migratorio da 384 unità nel 2011 a oltre 4.000 nel 2020.

Cosa prevede la riforma 2024?

La riforma 2024 prevede l'eliminazione di alcune norme precedenti, come l'articolo 16 del D.Lgs. n. 147/2015 e parti del D.L. n. 34/2019, che riguardano gli incentivi per i lavoratori impatriati. Tuttavia, coloro che hanno trasferito la loro residenza fiscale in Italia nel 2023 continueranno a godere delle vecchie disposizioni.

Secondo la nuova proposta, a partire dal 2024, gli incentivi fiscali si applicheranno solo ai redditi di lavoro dipendente o simili, e ai redditi di lavoro autonomo, escludendo i redditi d'impresa. Inoltre, si stabilisce un limite massimo di reddito agevolabile di 600.000 euro e si riduce la percentuale di non imponibilità dei redditi agevolati dal 70-90% al 50%.

I nuovi requisiti per accedere agli incentivi includono non essere stati residenti fiscali in Italia nei tre anni precedenti il trasferimento, impegnarsi a risiedere in Italia per almeno cinque anni, lavorare per un datore di lavoro diverso da quello estero precedente, svolgere la maggior parte del lavoro in Italia, e avere competenze specializzate o elevate.

La riforma allunga i periodi di residenza all'estero richiesti (da 2 a 3 anni) e in Italia (da 2 a 5 anni). In caso di mancato rispetto della residenza fiscale italiana per cinque anni, si perdono i benefici e si applicano sanzioni.

La riforma restringe anche il tipo di lavoratori eleggibili, focalizzandosi su quelli con alta qualificazione o specializzazione, e esclude chi torna in Italia per attività d'impresa.

Per chi non era iscritto all'AIRE durante il periodo all'estero, è possibile dimostrare la residenza fiscale estera secondo le convenzioni contro le doppie imposizioni.

I cambiamenti non interessano gli incentivi per docenti e ricercatori, che rimangono invariati.

La riforma può creare disparità di trattamento tra chi è rientrato in Italia nel 2023 e chi si trasferisce dopo l'entrata in vigore delle nuove regole, portando a situazioni ineguali tra contribuenti simili.

Critiche, incongruenze e disparità di trattamento

Il Decreto Legislativo di attuazione della riforma fiscale, che include modifiche alla normativa sui "lavoratori impatriati", ha sollevato diverse critiche, incongruenze e questioni di disparità. Ecco alcuni dei principali punti di discussione:

  1. Complessità e Ambiguità Normativa: Le modifiche apportate possono essere complesse e ambigue, rendendo difficile per i contribuenti e i professionisti comprendere i requisiti per accedere alle agevolazioni. Ad esempio, un lavoratore che intende beneficiare del regime potrebbe trovarsi confuso riguardo ai criteri specifici per qualificarsi come "lavoratore impatriato".
  2. Accessibilità Limitata: Alcune categorie di lavoratori potrebbero essere escluse dalle agevolazioni. Un insegnante di lingue straniere, ad esempio, potrebbe non rientrare nelle categorie professionali qualificate che beneficiano delle agevolazioni, a differenza di un ingegnere o di un manager.
  3. Disparità nella Trattazione di Diverse Categorie di Lavoratori: Il decreto potrebbe favorire alcune categorie professionali rispetto ad altre, creando disparità. Per esempio, un manager con un alto reddito potrebbe beneficiare maggiormente del regime agevolato rispetto a un infermiere con un reddito minore.
  4. Rischi di Abuso e Evasione Fiscale: Esiste il rischio che le agevolazioni vengano sfruttate per conseguire vantaggi fiscali indebiti. Un esempio potrebbe essere un consulente che trasferisce formalmente la sua residenza in Italia, ma continua a svolgere la maggior parte del suo lavoro all'estero, per beneficiare indebitamente delle agevolazioni fiscali.
  5. Mancanza di Continuità Normativa: Frequenti cambiamenti legislativi possono creare incertezza tra i contribuenti. Un professionista che si è trasferito in Italia basandosi su un certo regime fiscale potrebbe trovarsi in difficoltà se il regime cambia improvvisamente, influenzando i suoi piani e le sue aspettative finanziarie.

Questi punti riflettono le principali aree di preoccupazione e discussione intorno alla normativa sui "lavoratori impatriati", evidenziando la necessità di un equilibrio tra attrarre talenti internazionali e garantire equità e chiarezza nella legislazione fiscale.

La riforma 2023 cammina come un gambero minacciato

Nel 2023, le agevolazioni fiscali italiane per il "rientro dei cervelli", che includono lavoratori impatriati e docenti e ricercatori, sono state confermate e mantenute in linea con le estensioni già introdotte dal Decreto Crescita 2019. Questo decreto aveva ampliato i benefici fiscali rendendo più lungo il periodo di fruizione e riducendo la base imponibile fino al 10%.

Queste agevolazioni, inizialmente estese ai lavoratori impatriati con la Legge di Bilancio 2021, sono state poi applicate anche ai docenti e ricercatori rientrati prima del 2020. Anche gli sportivi professionisti, come i calciatori, beneficiano di incentivi fiscali particolari.

Le condizioni per accedere a questi vantaggi includono non essere stati residenti in Italia per i due anni fiscali precedenti al rientro, l'impegno a rimanere residenti per almeno due anni, e lo svolgimento della maggior parte del lavoro in Italia. Non è più necessario che il lavoro svolto all'estero sia in posizioni di alta qualificazione.

Le attività lavorative coperte dall'agevolazione includono lavoro dipendente, lavoro assimilato a quello dipendente, lavoro autonomo e attività d'impresa avviate dopo il 31 dicembre 2019.

La durata del beneficio fiscale è di cinque anni, con una riduzione dell'imponibile del 70%. Il beneficio può essere esteso per altri cinque anni in caso di acquisto di un'unità immobiliare residenziale in Italia o se il lavoratore ha almeno un figlio minorenne o a carico. In quest'ultimo caso, l'imponibile si riduce al 50% per cinque anni, e al 10% per lavoratori con almeno tre figli minorenni o a carico. Inoltre, la tassazione è ridotta al 10% per i lavoratori che trasferiscono la residenza fiscale nelle Regioni del Centro-Sud d'Italia.

Agevolazioni fiscali per docenti e ricercatori che rientrano in Italia

Nel 2023, le agevolazioni fiscali per docenti e ricercatori che rientrano in Italia sono state mantenute. Questi incentivi, stabiliti dal Decreto Crescita 2019, si applicano a coloro che hanno un titolo di studio universitario, sono stati residenti all'estero non occasionalmente, hanno svolto attività di ricerca o docenza all'estero per almeno due anni e intendono svolgere tali attività in Italia, acquisendo la residenza fiscale italiana.

Questo beneficio fiscale si applica ai redditi di lavoro dipendente o autonomo prodotti in Italia. Per l'attività di lavoro autonomo, gli emolumenti non contribuiscono al valore della produzione netta ai fini IRAP. L'Agenzia delle Entrate ha sottolineato che questo beneficio mira a contrastare la fuga di cervelli e a promuovere lo sviluppo tecnologico e scientifico in Italia, rivolgendosi a tutti i residenti all'estero, sia italiani che stranieri, che possono contribuire allo sviluppo della ricerca in Italia.

La durata dell'agevolazione è di sei anni, estendibile a otto anni se il docente o ricercatore ha un figlio minorenne o a carico, o diventa proprietario di un'unità immobiliare residenziale in Italia. Questa durata può aumentare fino a 13 anni se il docente o ricercatore ha almeno due figli minorenni o a carico. Il beneficio comporta una riduzione significativa della tassazione, con le imposte dovute solo sul 10% dei redditi percepiti.

Estensione delle agevolazioni

La Legge di Bilancio 2021 ha esteso gli incentivi fiscali per i "lavoratori impatriati" per un ulteriore periodo di cinque anni d'imposta. Questa estensione è applicabile ai contribuenti che, alla fine del 2019, erano iscritti all'AIRE o erano cittadini dell'Unione Europea e avevano trasferito la loro residenza in Italia prima del 2020.

Per accedere a questa estensione, i lavoratori impatriati devono avere almeno un figlio minorenne o a carico, o devono diventare proprietari di un'unità immobiliare residenziale in Italia dopo il trasferimento o nei dodici mesi precedenti. Devono inoltre versare il 10% dei redditi di lavoro dipendente e autonomo prodotti in Italia, relativi al periodo d'imposta precedente. Se il lavoratore ha almeno tre figli minorenni o a carico, l'importo da versare si riduce al 5%.

Le istruzioni per l'esercizio dell'opzione per la proroga dell'incentivo sono state fornite dall'Agenzia delle Entrate. Il pagamento deve essere effettuato tramite il modello F24 entro il 30 giugno dell'anno successivo alla conclusione del primo periodo di fruizione dell'agevolazione.

Per i lavoratori dipendenti, la richiesta per l'applicazione dei benefici deve essere presentata al datore di lavoro entro la stessa scadenza. Per i lavoratori autonomi, l'opzione deve essere comunicata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui hanno effettuato il versamento.

Per quanto riguarda i docenti e i ricercatori, la Legge di Bilancio 2022 ha introdotto una simile estensione degli incentivi fiscali, con condizioni analoghe a quelle per i lavoratori impatriati. Tuttavia, sorge un problema di equità per i cittadini italiani che non erano iscritti all'AIRE, poiché l'estensione sembra essere riservata a coloro che erano iscritti all'AIRE o che erano cittadini di altri Stati membri dell'Unione Europea.

In conclusione, i lavoratori impatriati e i docenti e ricercatori che soddisfano determinate condizioni possono beneficiare di una proroga degli incentivi fiscali, a condizione che rispettino le scadenze e le procedure stabilite per l'esercizio dell'opzione.

Requisito dell’iscrizione all’AIRE

Nel 2023, è stata rimossa la necessità dell'iscrizione all'Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero (AIRE) come requisito per accedere alle agevolazioni fiscali del "rientro dei cervelli". Ora, per ottenere queste agevolazioni, è sufficiente che il trasferimento all'estero della residenza fiscale sia avvenuto in conformità alle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall'Italia con il Paese estero di riferimento.

Questa modifica ha un effetto retroattivo e si applica anche ai contribuenti che avevano precedentemente usufruito delle agevolazioni fiscali senza essere iscritti all'AIRE, inclusi quelli che avevano ricevuto un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate per il recupero dell'agevolazione fiscale considerata indebita.

Per beneficiare di questa agevolazione, i lavoratori devono dimostrare che la loro residenza fiscale all'estero era in linea con le convenzioni contro le doppie imposizioni. Se un contribuente ha già pagato per intero le imposte senza usufruire dell'agevolazione, non avrà diritto al rimborso.

La dimostrazione della residenza fiscale all'estero deve essere fatta in maniera accurata, considerando elementi sostanziali come il luogo di abitazione permanente e il centro degli interessi personali ed economici. Molti contribuenti non riescono a dimostrare sufficientemente questi requisiti per beneficiare dell'agevolazione fiscale.

Se l'incentivo fiscale viene applicato senza soddisfare questi requisiti, il contribuente rischia la negazione dell'agevolazione e la richiesta di recupero delle imposte da parte dell’Agenzia delle Entrate, inclusa l'applicazione di sanzioni.

È importante notare che ci sono numerose eccezioni e limiti relativi all'applicabilità di questi incentivi fiscali, che non sono dettagliati in questo riassunto, ma che potrebbero portare l’Agenzia delle Entrate a negare l'agevolazione fiscale.

Cittadini italiani rimpatriati prima del 30 aprile 2019: ultima sentenza

Il 16 Novembre 2023 è stata emessa una direttiva importante rivolta ai cittadini italiani che sono rientrati nel paese prima del 30 aprile 2019. Questa direttiva è stata formulata in seguito a una sentenza della Corte di giustizia tributaria di Milano, numero 3682/1/2023, datata 23 ottobre.

La decisione della Corte riguarda coloro che hanno beneficiato della regolarizzazione Aire e sono tornati in Italia prima del termine stabilito. A questi individui è ora concesso il diritto di richiedere un'estensione di cinque anni per il regime fiscale speciale per "lavoratori impatriati". Questo sviluppo è particolarmente rilevante in considerazione dei recenti cambiamenti nel quadro fiscale relativo agli impatriati, seguito all'adozione della legge di bilancio del 2021.

L'articolo in questione, il comma 50 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2021, specifica che tale estensione è applicabile ai soggetti precedentemente iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all'estero o ai cittadini dell'UE. In precedenza, l'Agenzia delle Entrate aveva interpretato che tale estensione non fosse applicabile ai cittadini italiani non iscritti all’Aire che fossero rientrati prima del 30 aprile 2019.

In un caso specifico citato nella sentenza, un contribuente con doppia cittadinanza, italiana e inglese, non aveva ricevuto l'approvazione per l'estensione del regime fiscale. Dopo un rifiuto iniziale, il contribuente aveva fatto appello contro questa decisione, citando sia l'accordo Brexit sia la violazione del principio di non discriminazione.

La Corte di Milano ha riconosciuto la validità di queste argomentazioni. Ha stabilito che i cittadini britannici residenti in uno Stato membro dell'UE prima della fine del periodo transitorio di Brexit (31 dicembre 2020) mantengono lo status di cittadini europei, come indicato nell'articolo 24 dell'accordo Brexit. Inoltre, ha deciso che un'interpretazione letterale dell'articolo 1, comma 50, della legge 178/2020, potrebbe violare l'articolo 3 della Costituzione italiana.

Di conseguenza, i giudici di Milano hanno proposto una lettura della legge in linea con i principi costituzionali, estendendo l'applicabilità dell'estensione del regime fiscale a tutti i cittadini italiani rientrati prima del 30 aprile 2019, in contrasto con le interpretazioni precedenti dell'amministrazione finanziaria.

Recuperare l’agevolazione fiscale

L'Agenzia delle Entrate ha affrontato il caso di una cittadina italiana rientrata in Italia nel 2017, che si interrogava su come recuperare l'incentivo fiscale per i "lavoratori impatriati" non richiesto in tempo. La donna, dopo aver lavorato in Francia, era tornata in Italia per motivi lavorativi, tassando tutti i suoi redditi in Italia per l'anno d'imposta 2017.

La normativa applicabile a questi casi è l'art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015, che stabilisce un regime fiscale speciale per i lavoratori impatriati, modificato successivamente dall'art. 5 del D.Lgs. n. 34/2019. Per chi è rientrato in Italia prima del 1° maggio 2019, continua ad operare la vecchia formulazione di questa norma, che prevede che i redditi prodotti in Italia concorrano alla formazione della base imponibile solo nella misura del 50%.

Per beneficiare di queste agevolazioni, il contribuente deve dimostrare il collegamento tra il trasferimento della residenza fiscale in Italia e lo svolgimento dell'attività lavorativa in Italia, senza che sia necessario lavorare in Italia per più di 183 giorni. L'agevolazione viene fruita sotto forma di riduzione delle ritenute operate dal datore di lavoro su richiesta dell'interessato o, se non possibile, direttamente in fase di dichiarazione dei redditi.

Nel caso specifico, sebbene il contribuente avesse soddisfatto i requisiti per l'agevolazione fiscale, non ne aveva fatto richiesta al datore di lavoro né esercitato l'opzione nella dichiarazione dei redditi per l'anno 2017. Di conseguenza, l'Agenzia delle Entrate ha stabilito che per quell'anno avrebbe perso il diritto all'agevolazione, ma avrebbe potuto fruire dell'incentivo fiscale negli anni successivi facendone richiesta al datore di lavoro e esercitandone l'opzione nella dichiarazione dei redditi.

Compatibilità rientro dei cervelli e regime forfettario

L'Agenzia delle Entrate ha affrontato il quesito di una contribuente italiana che, dopo aver vissuto all'estero per oltre cinque anni, intendeva rientrare in Italia e beneficiare delle agevolazioni fiscali per il "rientro dei cervelli", previste dall'art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015. La contribuente, che prevedeva di lavorare autonomamente in Italia, chiedeva se potesse combinare queste agevolazioni con il regime forfettario per i lavoratori autonomi, disciplinato dall'art. 1, comma 54, della Legge n. 190/2014.

L'art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015 introduce un regime speciale per i "lavoratori impatriati" che mira ad attrarre in Italia lavoratori altamente qualificati. Questo regime prevede che i redditi di lavoro dipendente e autonomo di chi rientra in Italia concorrano alla formazione del reddito imponibile solo per il 50% per un periodo di cinque anni, rendendo la restante parte non imponibile.

D'altra parte, il regime forfettario prevede l'applicazione di un'imposta sostitutiva del 15% su una parte dei compensi dei lavoratori autonomi, in sostituzione di IRPEF, IVA e IRAP. In questo regime, i redditi non concorrono alla formazione del reddito complessivo imponibile ai fini IRPEF.

Dalla valutazione dell'Agenzia delle Entrate emerge che non è possibile combinare i due regimi. In presenza del regime forfettario, non essendo il reddito di lavoro autonomo assoggettato a IRPEF, non c'è una base imponibile su cui applicare le agevolazioni del "rientro dei cervelli". Pertanto, il contribuente deve scegliere tra il regime forfettario e l'applicazione del beneficio fiscale del "rientro dei cervelli", che prevede una tassazione IRPEF ridotta.

La decisione sulla scelta più vantaggiosa dipende dalla situazione specifica delil contribuente e dalla sua ottimizzazione fiscale.

Redditi derivanti da cessione di diritti d’autore 

L'Agenzia delle Entrate ha chiarito come si applicano le agevolazioni fiscali per il "rientro dei cervelli" ai redditi derivanti dalla cessione dei diritti d'autore. Questo tipo di reddito rientra nella categoria del lavoro autonomo, come specificato dall'articolo 53 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR).

In dettaglio, l'articolo 53 del TUIR definisce i redditi di lavoro autonomo includendo quelli derivanti dall'utilizzazione economica di opere dell'ingegno, brevetti industriali e informazioni relative a esperienze in campo industriale, commerciale o scientifico. Questi redditi sono considerati di lavoro autonomo quando l'utilizzazione economica dell'opera avviene da parte dell'autore o dell'inventore, e non nell'ambito di un'impresa commerciale.

Basandosi su questa definizione, l'Agenzia delle Entrate ha stabilito che i redditi derivanti da diritti d'autore sono agevolabili sotto il regime del "rientro dei cervelli", purché siano frutto dell'esercizio di arti e professioni. Non ci sono, quindi, preclusioni normative che impediscono l'applicazione delle agevolazioni fiscali per questi tipi di redditi, permettendo ai lavoratori impatriati che percepiscono guadagni dalla cessione dei diritti d'autore di beneficiare delle stesse agevolazioni previste per altri redditi di lavoro autonomo.

Rientro dei cervelli e Paradisi Fiscali

L’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti riguardo alla non applicabilità degli incentivi fiscali per il "rientro dei cervelli" in un caso specifico. Un lavoratore, dipendente di una multinazionale, aveva chiesto conferma sull'applicabilità di questi incentivi al suo caso, dopo essere rientrato in Italia in seguito ad un periodo di lavoro a Dubai, un Paese incluso nella black list fiscale.

Il lavoratore, che aveva già lavorato all'estero per questa stessa multinazionale e che si era iscritto all’AIRE durante il suo soggiorno a Dubai, era tornato in Italia per continuare il suo lavoro con la stessa società. Egli riteneva di poter beneficiare degli incentivi fiscali per il "rientro dei cervelli", prevedenti una detassazione del 90% dei redditi per 5 anni, estendibile per ulteriori 5 anni in presenza di determinate condizioni.

L’Agenzia delle Entrate, analizzando il caso, ha sottolineato che per usufruire delle agevolazioni per i lavoratori impatriati è necessario che il lavoratore non sia stato residente in Italia per un periodo minimo prima del rientro e che si impegni a rimanere fiscalmente residente in Italia per almeno due anni. Tuttavia, ha rilevato che la situazione del lavoratore non soddisfaceva i criteri per l'agevolazione fiscale, poiché la sua esperienza lavorativa all'estero era parte di un percorso continuativo con la stessa multinazionale, e pertanto non poteva considerarsi un "rientro" ai sensi della norma.

In conclusione, l’Agenzia delle Entrate ha negato l'applicazione degli incentivi fiscali a questo lavoratore, sottolineando l'importanza di una valutazione approfondita della posizione fiscale per confermare l'applicabilità degli incentivi. Inoltre, ha messo in guardia sul rischio di recupero delle agevolazioni fiscali e di applicazione di sanzioni qualora, dopo anni di fruizione del beneficio, la posizione fiscale del lavoratore dovesse essere oggetto di verifica e risultasse irregolare.

Chiarire la propria residenza fiscale all’estero

L'Agenzia delle Entrate ha chiarito che le questioni riguardanti la determinazione della residenza fiscale estera di un contribuente, fondamentali per accedere alle agevolazioni fiscali del "rientro dei cervelli", non possono formare oggetto di istanza di interpello. Questo perché la valutazione della residenza fiscale è considerata una questione di fatto che va oltre la portata dell'interpello.

Si sono verificati casi in cui i contribuenti hanno richiesto all'Agenzia delle Entrate di confermare se la loro residenza fiscale fosse in un paese straniero, basandosi su specifici dettagli del loro stile di vita e lavoro. Tuttavia, in risposta a queste richieste, l'Agenzia ha sistematicamente sottolineato che non può fornire una valutazione sulla residenza fiscale in risposta ad un'istanza di interpello, come precisato anche dalla Circolare n. 9/E del 2016.

Le questioni relative all’accertamento della residenza fiscale, secondo l’art. 2 del D.P.R. n. 917/1986, implicano valutazioni di fatto che non possono essere risolte attraverso l'interpello. Di conseguenza, spetta ai contribuenti valutare attentamente tutti gli elementi necessari per stabilire se la propria residenza fiscale è all'estero o in Italia.

Un'errata valutazione della residenza fiscale estera può portare al disconoscimento da parte dell'Agenzia delle Entrate dell'applicazione del regime fiscale agevolato per il "rientro dei cervelli", con conseguente recupero delle imposte evase per tutti gli anni di fruizione dell'agevolazione fiscale. Pertanto, è essenziale per i contribuenti effettuare una valutazione accurata per evitare possibili conseguenze negative.

Rientro dei cervelli a seguito del distacco all’estero

L'Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti sulla posizione dei lavoratori distaccati all'estero che rientrano in Italia, in relazione alle agevolazioni fiscali per il "rientro dei cervelli" previste dal D.Lgs. n. 147/2015. Inizialmente, l'Agenzia aveva adottato una posizione restrittiva, escludendo dal beneficio i soggetti rientrati in Italia dopo un distacco all'estero, a causa della continuità con la precedente posizione lavorativa in Italia.

Successivamente, l'Amministrazione finanziaria ha aperto alla possibilità di valutare specifiche situazioni in cui il rientro in Italia non sia conseguenza della naturale scadenza del distacco, ma sia determinato da altri elementi. Questo può avvenire, ad esempio, quando il contratto di distacco è stato prorogato più volte, dimostrando un radicamento del dipendente nel territorio estero, oppure quando il dipendente al rientro in Italia assume un ruolo aziendale differente rispetto a quello originario, grazie alle maggiori competenze ed esperienze maturate all'estero.

Tuttavia, l'agevolazione non è applicabile nei casi in cui, nonostante un "nuovo" contratto o ruolo aziendale, sussista una situazione di "continuità" con la precedente posizione lavorativa in Italia. Per esempio, se i termini e le condizioni contrattuali rimangono immutati al rientro o se esistono clausole che indicano la continuità del rapporto di lavoro originario, l'agevolazione fiscale non sarà applicabile.

Per beneficiare del regime agevolativo per i "lavoratori impatriati", i contribuenti devono soddisfare tutti i requisiti previsti dalla normativa, compresa la verifica della residenza fiscale, che è una questione di fatto e non può essere oggetto di istanza di interpello.

In conclusione, l'approccio all'agevolazione fiscale per i lavoratori che rientrano in Italia dopo un distacco all'estero richiede un'attenta valutazione della specifica situazione del contribuente, considerando tutti i dettagli del caso concreto. In queste situazioni, è consigliabile avvalersi dell'assistenza di un professionista per valutare l'opportunità di presentare un'istanza di interpello all'Agenzia delle Entrate.

Lavoro subordinato svolto a bordo di navi ed aeromobili in traffico internazionale

L'Agenzia delle Entrate ha chiarito che per applicare il regime agevolativo del "rientro dei cervelli" ai lavoratori subordinati operanti a bordo di navi e aeromobili in traffico internazionale, è necessario che l'attività lavorativa sia svolta prevalentemente in Italia. Questo significa che il lavoratore deve prestare il proprio lavoro nel territorio italiano per più di 183 giorni all'anno. In questo calcolo, si considerano non solo i giorni effettivamente lavorati, ma anche i periodi di ferie, festività, riposi settimanali e altri giorni non lavorativi.

Tuttavia, i periodi di trasferta o distacco all'estero superiori a 183 giorni non vengono inclusi nel conteggio, in quanto considerati come attività lavorativa svolta fuori dal territorio italiano. Se il lavoratore non soddisfa questo requisito temporale, nonostante sia fiscalmente residente in Italia, non potrà beneficiare delle agevolazioni fiscali per il reddito prodotto in Italia durante tale periodo.

Se l'attività lavorativa è prevalentemente svolta in Italia, anche i redditi derivanti da attività in trasferta all'estero (se inferiore a 183 giorni) possono essere inclusi nell'agevolazione. Al contrario, i redditi prodotti all'estero rimangono esclusi dal regime agevolativo, seguendo i criteri definiti dall'articolo 23 del TUIR.

Pertanto, per i lavoratori subordinati su navi e aeromobili in traffico internazionale, il regime agevolativo si applica se la loro attività lavorativa è svolta in Italia, incluso il lavoro su tratte aeree nazionali o a terra sul territorio italiano, per almeno 183 giorni all'anno. In assenza di questo requisito, il regime agevolativo non è applicabile. Se invece l'attività lavorativa è prevalentemente svolta in Italia e sono soddisfatti anche gli altri requisiti di legge, il lavoratore può accedere alle agevolazioni fiscali, escludendo comunque i redditi prodotti all'estero.

Agevolazioni per TFR e indennità

L'Agenia delle Entrate ha confermato che le agevolazioni fiscali relative al "rientro dei cervelli" si applicano anche a somme come il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) e altre indennità, purché i lavoratori soddisfino i requisiti previsti dalla normativa sugli incentivi. Tuttavia, poiché questi tipi di redditi sono soggetti a tassazione separata (secondo l'articolo 17, comma 1, lettera a, del TUIR), l'agevolazione non può essere applicata direttamente dal datore di lavoro nella busta paga, ma richiede una riliquidazione del tributo da parte dell'Ufficio delle Entrate, a seguito di una richiesta specifica del lavoratore.

Inoltre, durante il processo di riliquidazione, l'Ufficio potrebbe decidere di applicare la tassazione ordinaria anziché l'aliquota media del quinquennio, qualora questa sia più vantaggiosa per il contribuente, come previsto dall'articolo 17, comma 3, del TUIR.

Dopo aver ricevuto la comunicazione relativa alla liquidazione dell'imposta sui redditi soggetti a tassazione separata, il lavoratore dovrà contattare l'Agenzia delle Entrate per richiedere una modifica della riliquidazione, in modo che questi redditi siano inclusi nel reddito complessivo dell'anno di riferimento. È importante sottolineare che, in questa fase, l'Ufficio verifica anche la sussistenza dei requisiti per l'applicazione del regime fiscale del "rientro dei cervelli". Pertanto, è consigliabile che il lavoratore si avvalga dell'assistenza di un professionista per gestire questa procedura.

Requisito relativo all’attività di studio o lavoro svolta all’estero

L'Amministrazione finanziaria ha specificato che per i soggetti laureati che desiderano accedere alle agevolazioni fiscali per il "rientro dei cervelli", non è necessario che l'attività di studio o lavoro all'estero sia stata svolta nei due anni immediatamente precedenti il rientro in Italia. È sufficiente che il soggetto abbia svolto un'attività di lavoro all'estero in modo continuativo per almeno ventiquattro mesi, o che abbia conseguito una laurea o un titolo accademico post lauream di durata almeno biennale.

Inoltre, è stato chiarito che il beneficiario può accedere all'agevolazione fiscale anche se il conseguimento del titolo di studio avviene dopo il periodo di ventiquattro mesi o i due anni accademici, purché siano soddisfatti tutti gli altri requisiti previsti dalla normativa. Questa precisazione offre flessibilità a coloro che hanno completato i loro studi o la loro esperienza lavorativa all'estero, permettendo loro di beneficiare delle agevolazioni fiscali anche se il conseguimento formale del titolo avviene successivamente.

Datore di lavoro con sede all’estero

La normativa precedente relativa alle agevolazioni fiscali per il "rientro dei cervelli" in Italia richiedeva che i lavoratori impatriati svolgessero la loro attività lavorativa per un’impresa residente in Italia o per una società legata a questa. Tuttavia, con le modifiche apportate dal Decreto Crescita, tale requisito non è più necessario.

Ora, secondo le attuali disposizioni agevolative, possono beneficiare dell'agevolazione fiscale i lavoratori impatriati che svolgono attività di lavoro in Italia anche se sono dipendenti di un datore di lavoro con sede all’estero, oppure se i loro committenti (nel caso di lavoro autonomo o di impresa) sono stranieri non residenti. Questo si applica anche ai lavoratori precedentemente assunti in sedi estere di un datore di lavoro non residente, che successivamente svolgono il loro lavoro presso una sede secondaria italiana dello stesso datore di lavoro.

È importante notare che, se il lavoratore impatriato costituisce una stabile organizzazione in Italia per conto del datore di lavoro non residente, secondo una Convenzione contro le doppie imposizioni o l’articolo 162 del TUIR, il regime agevolativo non si applica al reddito d’impresa imputabile al datore di lavoro estero. In tale scenario, il reddito sarà soggetto a tassazione ordinaria in Italia. Queste modifiche ampliano la portata delle agevolazioni fiscali, rendendo il regime più accessibile ai lavoratori impatriati che lavorano per datori di lavoro non residenti.

Calcolo risparmio fiscale e stipendio netto

Il risparmio fiscale derivante dagli incentivi per il "rientro dei cervelli" varia a seconda del regime scelto, che può comportare un abbattimento dell'imponibile fiscale IRPEF del 70% o del 90%. Questi sono esempi approssimativi di risparmio fiscale e stipendio netto per diverse fasce di reddito imponibile, tenendo presente che per un calcolo accurato bisogna considerare le Addizionali Regionali e Comunali e le condizioni personali del contribuente:

  1. Per un imponibile di 50.000 euro:

Con abbattimento del 70%: risparmio fiscale di circa 12.333 euro, reddito netto di circa 48.114 euro.

Con abbattimento del 90%: risparmio fiscale di circa 14.219 euro, reddito netto di circa 50.000 euro.

  1. Per un imponibile di 100.000 euro:

Con abbattimento del 70%: risparmio fiscale di circa 29.086 euro, reddito netto di circa 93.186 euro.

Con abbattimento del 90%: risparmio fiscale di circa 35.390 euro, reddito netto di circa 99.490 euro.

  1. Per un imponibile di 150.000 euro:

Con abbattimento del 70%: risparmio fiscale di circa 45.112 euro, reddito netto di circa 137.712 euro.

Con abbattimento del 90%: risparmio fiscale di circa 55.514 euro, reddito netto di circa 148.114 euro.

È importante sottolineare che questi calcoli sono indicativi e che per una valutazione precisa è necessario considerare ulteriori dettagli specifici del contribuente e della sua situazione fiscale.

Stabile Organizzazione della società estera in Italia

Le recenti modifiche apportate dalla normativa italiana hanno semplificato l'accesso alle agevolazioni fiscali per i lavoratori impatriati, noti come "rientro dei cervelli". In precedenza, per beneficiare di tali agevolazioni, i lavoratori dovevano essere impiegati da un'impresa residente in Italia o da una società collegata. Tuttavia, dopo il Decreto Crescita, questo requisito non è più necessario.

Attualmente, i lavoratori impatriati possono godere delle agevolazioni fiscali anche se lavorano per un datore di lavoro estero o se i loro clienti (nel caso di lavoro autonomo o imprenditoriale) sono non residenti. Questa disposizione si applica anche ai lavoratori che, precedentemente impiegati presso sedi estere del datore di lavoro non residente, vengono poi trasferiti a lavorare in una sede italiana dello stesso datore.

Va tuttavia osservato che, se il lavoratore impatriato rappresenta una stabile organizzazione in Italia per un datore di lavoro estero, come definito da una Convenzione contro le doppie imposizioni o dall'articolo 162 del TUIR, il regime agevolativo non si estende al reddito d'impresa attribuibile a tale datore di lavoro estero, il quale sarà soggetto a tassazione ordinaria in Italia.

Queste modifiche hanno ampliato significativamente l'ambito delle agevolazioni fiscali, rendendole accessibili a un numero maggiore di lavoratori impatriati, anche quelli impiegati da datori di lavoro non residenti.

Eccezioni, limiti, deroghe e casi di non applicabilità degli incentivi fiscali per il “rientro dei cervelli”

L'Amministrazione finanziaria ha sottolineato che l'applicazione delle agevolazioni fiscali per il "rientro dei cervelli" non può basarsi esclusivamente sulla lettura letterale delle disposizioni normative. Esistono casi in cui, pur sembrando soddisfatti i requisiti normativi, l'Agenzia delle Entrate può negare gli incentivi, interpretando le norme alla luce del loro scopo effettivo.

Questa interpretazione è particolarmente rilevante alla luce della clausola antiabuso presente nell'ordinamento italiano. Tale clausola, contenuta nell'art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente, permette all'Amministrazione finanziaria di negare l'applicazione degli incentivi in casi di abuso del diritto, ovvero in situazioni dove, nonostante il rispetto formale delle norme fiscali, si realizzano vantaggi fiscali indebiti.

Ad esempio, l'Agenzia delle Entrate ha utilizzato questa teoria per negare gli incentivi fiscali in un caso dove un contribuente, rientrato in Italia, intendeva costituire una S.R.L. Unipersonale per limitare la propria responsabilità patrimoniale e percepire un compenso in qualità di amministratore unico, legato agli utili d'impresa. Il Fisco ha rilevato che tale operazione, pur essendo formalmente in linea con la normativa, era volta principalmente a conseguire un vantaggio fiscale indebito, sfruttando impropriamente le disposizioni fiscali.

Inoltre, l'Amministrazione finanziaria ha evidenziato che, in assenza di valide ragioni extrafiscali, l'operazione appariva volta unicamente a ridurre il carico tributario, piuttosto che ad adempiere gli scopi perseguiti dalla legge. Di conseguenza, è stato giudicato un abuso del diritto.

Pertanto, è fondamentale procedere ad un'analisi approfondita delle motivazioni che portano un contribuente a richiedere gli incentivi per il "rientro dei cervelli", per evitare che l'applicazione di tali incentivi venga in seguito contestata dall'Agenzia delle Entrate come un abuso del diritto. Si sottolinea che esistono numerose eccezioni, limiti e deroghe che possono portare l'Agenzia delle Entrate a negare l'agevolazione fiscale, anche in assenza di abuso del diritto.

Funzionari e agenti dell’Unione europea

Le agevolazioni fiscali per il "rientro dei cervelli" in Italia presentano alcune specificità quando si tratta di funzionari e agenti dell'Unione Europea. Secondo quanto osservato dall'Agenzia delle Entrate, la normativa UE influisce sulla loro residenza fiscale.

L'articolo 13 del Protocollo n. 7 sui privilegi e sulle immunità dell'Unione Europea stabilisce che i funzionari e gli agenti dell'UE che si trasferiscono in uno Stato membro diverso dal loro paese di residenza fiscale originale per motivi di lavoro, sono considerati ancora domiciliati fiscalmente nel loro Stato originale. Questo vale anche per il coniuge (se non lavora) e per i figli a carico.

Pertanto, i cittadini italiani che lavorano per l'UE e che, in base a questa norma, sono considerati residenti fiscali in Italia, non possono accedere alle agevolazioni fiscali per il "rientro dei cervelli" se sono iscritti all'AIRE nei due periodi di imposta precedenti il loro rientro in Italia. Questo perché, nonostante l'iscrizione all'AIRE, sono ex lege considerati residenti fiscali in Italia, mancando quindi uno dei requisiti fondamentali per l'accesso al regime agevolativo. In sostanza, l'applicazione della norma UE impedisce ai funzionari e agenti dell'Unione Europea di beneficiare di queste agevolazioni fiscali al rientro in Italia.

Emolumenti percepiti nei periodi d’imposta in cui l’impatriato ha acquisito la residenza fiscale in Italia

L'Agenzia delle Entrate ha precisato che le agevolazioni fiscali per il "rientro dei cervelli" (lavoratori impatriati) non sono applicabili agli emolumenti variabili percepiti durante il periodo d'imposta in cui un lavoratore acquisisce la residenza fiscale in Italia, ma relativi a prestazioni lavorative svolte in periodi precedenti.

Questa posizione si basa sulla finalità della norma agevolativa, che è quella di incentivare i redditi generati in Italia dopo il rientro del lavoratore. Indipendentemente dal luogo in cui il lavoro è stato effettivamente svolto nei periodi precedenti il rimpatrio, gli emolumenti variabili percepiti mentre il lavoratore è fiscalmente residente in Italia sono soggetti alla tassazione ordinaria nel Paese.

Questi emolumenti non beneficiano delle agevolazioni per il rientro dei cervelli e sono tassati secondo le norme ordinarie italiane. Tuttavia, è prevista la possibilità di ottenere un credito per le imposte già pagate all'estero, in conformità all'articolo 165 del TUIR, al fine di evitare situazioni di doppia imposizione. Questa interpretazione garantisce che l'agevolazione fiscale sia applicata solo ai redditi generati in Italia dopo il rientro del lavoratore, in linea con lo spirito della normativa.

Bonus senza agevolazioni

L'Agenzia delle Entrate ha chiarito che i bonus annuali rientrano nella categoria dei redditi di lavoro dipendente, come definiti dagli articoli 49 e 51 del TUIR. Questi redditi comprendono tutte le somme e i valori, sotto qualsiasi forma percepiti, in relazione al rapporto di lavoro.

Secondo il principio di cassa, il reddito di lavoro dipendente è fiscalmente rilevante al momento del suo effettivo ricevimento, sia che si tratti di denaro o di prestazioni in natura. Di conseguenza, se un bonus viene erogato in un periodo d'imposta successivo all'uscita dell'impatriato dal regime agevolativo per il "rientro dei cervelli", esso contribuirà alla formazione del reddito complessivo del lavoratore secondo le norme fiscali ordinarie. Pertanto, tale bonus non potrà beneficiare delle agevolazioni fiscali previste per i lavoratori impatriati.

Anche se eri in aspettativa resti senza agevolazioni

L'Agenzia delle Entrate ha specificato che i contribuenti che rientrano in Italia dopo un periodo di aspettativa non retribuita non possono accedere agli incentivi fiscali previsti per il "rientro dei cervelli" (lavoratori impatriati). L'aspettativa non retribuita, concessa dal datore di lavoro a richiesta del lavoratore, sospende temporaneamente il rapporto di lavoro per un periodo prestabilito.

Durante l'aspettativa, il lavoratore mantiene il diritto al proprio posto di lavoro. Al rientro, il dipendente riprende la sua posizione lavorativa con le stesse condizioni contrattuali e lo stesso inquadramento professionale di prima della partenza. Poiché l'aspettativa non retribuita ha solo effetti sospensivi sul rapporto di lavoro e non comporta una nuova assunzione o cambiamenti significativi nel contratto di lavoro, il Fisco ha concluso che il rientro in Italia al termine dell'aspettativa non soddisfa i requisiti per beneficiare del regime agevolativo per il "rientro dei cervelli". Ciò è dovuto alla "continuità" del rapporto lavorativo con lo stesso datore di lavoro e alle stesse condizioni contrattuali di prima dell'espatrio.

Lavoratori in smart working saranno vagliati per le agevolazioni

La modalità di lavoro in smart working, diffusasi notevolmente a seguito delle restrizioni dovute alla pandemia da Covid-19, presenta delle sfide nell'applicazione degli incentivi fiscali per il "rientro dei cervelli" in Italia. Questa modalità di lavoro, che consente ai dipendenti di lavorare a distanza da luoghi diversi dalla sede del datore di lavoro, può riguardare diverse situazioni:

  1. Lavoratori che continuano a lavorare in smart working in Italia con un contratto esistente con un datore di lavoro straniero, in un Paese in cui precedentemente risiedevano e lavoravano.
  2. Lavoratori che si trasferiscono in Italia per lavorare in smart working con un nuovo datore di lavoro straniero.
  3. Lavoratori che si trasferiscono in Italia per lavorare in smart working con un datore di lavoro italiano situato in una regione diversa da quella di residenza del lavoratore.
  4. Lavoratori che, pur essendo residenti fiscali in Italia e impiegati da un datore di lavoro italiano, svolgono una parte o la totalità del loro lavoro in smart working all'estero.
  5. Altre situazioni simili, con discordanze tra il luogo di lavoro in smart working e la sede del datore di lavoro.

Ognuna di queste situazioni richiede un'analisi dettagliata per determinare la corretta applicazione degli incentivi fiscali per il "rientro dei cervelli", considerando le particolarità di ogni caso. È importante considerare attentamente tutti gli elementi rilevanti per evitare errori nell'applicazione o nella misura degli incentivi, soprattutto quando si tratta di lavoratori che si trasferiscono nel Mezzogiorno d'Italia, per cui sono previsti maggiori benefici.

Contenzioso

La Sentenza n. 1910 del 24 maggio 2023 della Corte di Giustizia Tributaria di Milano ha stabilito un importante precedente nel recupero delle agevolazioni fiscali per il "rientro dei cervelli". Un contribuente, che era rientrato in Italia anche dopo un periodo di distacco all'estero, aveva inizialmente ricevuto una risposta negativa dall'Agenzia delle Entrate riguardo all'applicabilità delle agevolazioni fiscali al suo caso. Nonostante ciò, non aveva richiesto l'applicazione delle agevolazioni in busta paga né le aveva dichiarate nelle sue dichiarazioni fiscali.

Successivamente, ha presentato una richiesta di rimborso all'Agenzia delle Entrate per le maggiori imposte versate negli ultimi cinque anni, che ammontavano a oltre 120.000 euro, ma non ha ricevuto risposta. Di conseguenza, ha avviato un contenzioso tributario. La Corte ha determinato che i requisiti per l'agevolazione fiscale erano soddisfatti, nonostante il lavoro in regime di distacco, e che la mancata richiesta dell'agevolazione in busta paga o l'omessa esercitazione dell'opzione nella dichiarazione fiscale non impedivano l'accesso al regime agevolativo. Pertanto, il Fisco è stato condannato a rimborsare la somma al contribuente.

Questa sentenza apre la possibilità per altri contribuenti, che non hanno usufruito dell'agevolazione per il "rientro dei cervelli" a causa di conoscenza insufficiente o valutazione errata, di richiedere il rimborso delle imposte non dovute. Tuttavia, è essenziale seguire correttamente la procedura di rimborso per evitare il rigetto della domanda e la conseguente impossibilità di rivendicare il diritto al rimborso in sede giudiziaria.

Accertamenti dell’Agenzia delle Entrate sugli incentivi fiscali per il rientro dei cervelli

L'Agenzia delle Entrate può procedere al recupero delle imposte e applicare sanzioni e interessi nei casi in cui i contribuenti abbiano beneficiato delle agevolazioni fiscali per il "rientro dei cervelli" (lavoratori impatriati) in situazioni che formalmente rispettano la normativa ma che, secondo l'interpretazione del Fisco o per casi di abuso del diritto, non ne avrebbero diritto. Un punto importante è che l'agenzia non comunica tempestivamente ai contribuenti l'inapplicabilità delle agevolazioni, potendo l'accertamento arrivare anche dopo 5 anni dall'applicazione del beneficio. Di conseguenza, la negazione dell'incentivo può portare al recupero delle imposte risparmiate e all'applicazione di sanzioni e interessi per tutti gli anni trascorsi.

È consigliabile che i contribuenti verifichino preventivamente l'applicabilità del regime fiscale di favore e si preparino adeguatamente per eventuali controlli fiscali. In caso di negazione degli incentivi da parte dell'Agenzia delle Entrate tramite un atto di accertamento, è importante valutare accuratamente la legittimità dell'atto e considerare l'impugnazione davanti alla Corte di Giustizia Tributaria, basandosi su solide ragioni giuridiche per evitare il rigetto del ricorso e la conseguente condanna alle spese di giudizio.

Cosa posso fare se rimpatrio e resto disoccupato?

Ovviamente ritornare all’estero, ma l’INPS offre un servizio di sussidio di disoccupazione specifico per i cittadini italiani che hanno lavorato all'estero e che sono rientrati in Italia dopo essere rimasti disoccupati. Questo servizio è rivolto a coloro che hanno perso il lavoro all'estero, sia in stati membri dell'Unione Europea che in paesi extracomunitari, a prescindere dalla presenza di accordi bilaterali.

Il servizio è specificamente pensato per i cittadini italiani che:

Hanno lavorato all'estero.

Sono rimasti disoccupati a causa di licenziamento o per mancato rinnovo di un contratto di lavoro stagionale da parte del datore di lavoro estero.

Sono rientrati in Italia dopo il 1° novembre 1974.

Attraverso questo servizio, l'INPS permette ai lavoratori rientrati di presentare la domanda di disoccupazione, fornendo un sostegno economico durante il periodo di ricerca di un nuovo impiego in Italia. Questo aiuto è fondamentale per facilitare il reintegro nel mercato del lavoro italiano per coloro che hanno trascorso un periodo all'estero.

Cose da considerare se vuoi impatriarti

Per richiedere le agevolazioni fiscali per il "rientro dei cervelli" in Italia, ovvero per i lavoratori impatriati, è necessario seguire alcuni passaggi specifici:

  1. Verifica dei Requisiti: assicurati di soddisfare i criteri di ammissibilità per le agevolazioni fiscali. Tipicamente, queste includono avere una residenza fiscale all'estero per un certo periodo prima del rientro in Italia e l'intenzione di rimanere in Italia per almeno due anni. Dopo aver richiesto l'agevolazione, è importante monitorare la tua situazione fiscale per assicurarti di mantenere i requisiti necessari per il periodo richiesto dalla normativa.
  2. Trasferimento della Residenza Fiscale in Italia: è necessario trasferire la tua residenza fiscale in Italia. Questo comporta, di solito, l'iscrizione nel registro dell'Anagrafe della Popolazione Residente (APR) del comune in cui intendi stabilirti.
  3. Dichiarazione dei Redditi: quando presenti la tua dichiarazione dei redditi (Modello Unico o Modello 730), dovrai indicare la tua intenzione di accedere al regime fiscale agevolato. Questo può comportare il riempimento di sezioni specifiche o l'aggiunta di allegati.
  4. Documentazione di supporto: potrebbe essere necessario fornire documentazione aggiuntiva per dimostrare la tua eleggibilità, come la prova della residenza fiscale all'estero, del lavoro svolto all'estero, e altre informazioni pertinenti.
  5. Consultazione di un Professionista: vista la complessità della normativa e le possibili implicazioni, è consigliabile consultare un commercialista o un consulente fiscale specializzato in fiscalità internazionale per assistenza nella preparazione e presentazione della dichiarazione dei redditi e per assicurarsi di soddisfare tutti i requisiti necessari.

Ricorda che le leggi fiscali possono cambiare, quindi è fondamentale essere aggiornati sulle ultime normative e sui requisiti specifici al momento della tua richiesta.

Lo studio legale Caporaso & Partners, con sede a Panama, in collaborazione con lo studio tributario Foti in Italia, è in grado di fornire consulenze specialistiche per coloro che desiderano rientrare in Italia e beneficiare delle agevolazioni fiscali.

Un consiglio gratis: fai memoria e ricorda perché sei andato via dall’Italia

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